venerdì, maggio 3Istituto Giorgio Vasari Magazine

I Totalitarismi

Il Novecento fu l’età dei totalitarismi”. Tante volte si sente questa frase e ormai abbiamo assimilato questo termine considerandolo forse con troppa semplicità, perché “totalitarismo” è una parola dall’impatto spaventoso. Il controllo, il possesso, il potere su tutto: questo è l’obiettivo dei regimi totalitari. Hannah Arendt, per prima, mette in evidenza l’essenza dei totalitarismi e quello che li distingue dalle altre tirannidi affermatesi nel corso della storia. La giornalista nota come lo scopo del tiranno sia unicamente quello di sottomettere il popolo al suo potere, mentre il dittatore di un regime totalitario aspira a molto di più. Non è un caso se è proprio nel Novecento che si ha la nascita di questi regimi: per un dittatore, infatti, non è più possibile governare un intero paese senza il consenso di quella che è diventata, a causa dell’omologarsi delle classi, società di massa. E’ per questo che il processo che porta all’affermazione di un totalitarismo è ben più complesso, ragionato e, se si vuole, quasi scientifico. Innanzitutto alla base di un potere così forte deve esserci un’ideologia di riferimento, che deve essere imposta a tutta la società. La vera forza del totalitarismo è di riuscire ad insinuarsi, assieme alla sua ideologia, nelle coscienze dei singoli cittadini, ottenendone il consenso. La fortuna di questi regimi fu quella di aver trovato il terreno più fertile per impiantare l’ideologia: le masse sono infatti il frutto della miseria e della crisi che ha portato gli uomini ad una totale sfiducia verso ogni partito. Il culmine di questo clima si è raggiunto dopo la Grande Guerra, quando la popolazione europea si è trovata immersa in una crisi economica e politica senza precedenti. Oltre a questo c’è un altro fattore di grande importanza, ovvero l’assuefazione alla violenza, da cui l’uomo è stato circondato per quattro anni e nella quale è ormai abituato a vivere. Hitler, ad esempio, si è preoccupato di questo aspetto, pianificando con inquietante minuzia la deportazione dei “nemici dello stato” in modo che i cittadini si abituassero a veder sparire il proprio vicino di casa e non ne rimanessero scandalizzati perché la violenza, la deportazione erano ormai la quotidianità. Lo scopo ultimo del totalitarismo è l’unificazione della società delle masse sotto il punto di vista ideologico e, soprattutto nel caso tedesco, “razziale”. Si vuole creare una popolazione di uomini “prodotti in serie”, senza un pensiero proprio, asserviti allo Stato, uno Stato che coincide con l’unico partito al potere. Questa operazione è realizzata sicuramente attraverso la censura del dissenso, ma anche e soprattutto con una propaganda di regime. Fin dall’infanzia i cittadini sono educati ad essere perfetti tasselli di quella società che il totalitarismo vuole ottenere. Il sentimento anti-intellettualista del nazismo è dovuto al fatto che l’educazione libera, l’apertura mentale, sono le principali nemiche della dittatura. Per quanto riguarda l’unificazione razziale il nazismo, la cui ideologia di riferimento è il razzismo, è il caso più eclatante (anche se il confine tra razzismo e nazionalismo, al quale si rifà invece il fascismo, può essere pericolosamente sottile). Il concetto di razza che Hitler espone nel Mein Kampf, oltre ad essere storicamente falso, viene esteso a quella che in realtà è una religione, l’ebraismo, come se la fede avesse un rilievo biologico e fosse qualcosa di innato.
A partire da questo presupposto gli ebrei sono stati etichettati come “razza inferiore” e quindi da eliminare. Il campo di sterminio è il risultato ultimo del totalitarismo, il mezzo più estremo che si arriva ad utilizzare per l’eliminazione di quella “diversità” che intralcia la diffusione dell’ideologia e la creazione della “razza superiore”. La deportazione ebraica, che inizia con la “Notte dei Cristalli” del 1938, assume proporzioni mai viste ed è il prodotto di quel sentimento antisemita che affonda le radici nel Medioevo e che è andato alimentandosi sempre di più.
La cosa che più sconvolge e spaventa è che questo sentimento non è affatto scomparso. Nonostante le brutalità di questi regimi, nonostante lo studio di ciò che i totalitarismi hanno fatto, il nazionalismo sta prendendo di nuovo il posto dell’internazionalismo e il razzismo non è mai scomparso. Ricordare questi episodi è fondamentale ed è necessario che le violenze di quest’epoca vengano continuamente denunciate affinché non accada come per lo sterminio degli Armeni, del quale è proibito parlare in Turchia. Purtroppo però la memoria non basta e nel mondo c’è sempre più ipocrisia. Mi viene da pensare ad esempio a ciò che sta accadendo in Polonia dove, nonostante le prove delle violenze che i polacchi hanno inflitto agli ebrei, sono state fatte leggi che vietano accuse di antisemitismo agli stessi Polacchi e, in concomitanza con queste leggi, nel paese ci sono gigantesche manifestazioni contro gli ebrei.
E’ in questo paradosso che la società europea sta sprofondando, avvicinandosi a poteri nazionalisti con il pericolo che la storia si ripeta. Adesso, più che mai, è fondamentale ribadire l’importanza dell’istruzione, della conoscenza, che ci rendono liberi e ci impediscono di cadere nuovamente in una società dominata da una sola ideologia imposta dall’alto.

Viviamo ormai in quella che Levi ha definito “zona grigia”, dove non c’è un confine tra il bene e il male, dove chiunque può essere corrotto e gli orrori del passato possono ripetersi, se l’indifferenza arriva a superare il ricordo di ciò che è stato: La memoria critica, sentita, ragionata deve rendere la nostra generazione forte abbastanza da evitare un nuovo disastro.

Giulia Martini, 5^a Liceo Scientifico

Foto: robertomucelli.blogspot.com